31 gennaio 2016

Alla nave artiglio, il Pequod




Trovi in Quiqueg la tua brama del selvaggio, il contegno da principe quale realmente lui è. Disorienta l’umanità estrema armata di arpione; ha compreso presto chi tu fossi e sulla tua fronte ora affonda i suoi occhi.

Nel buio dell’ultima notte a New Bedford la scelta di prendere il mare assieme, corrosi dalle miserie terrestri.

Siete a Nantucket, hanno inizio le visioni. Una collina solitaria sperona il cielo all’incrocio degli oceani, circondata da navi mostruose e dal fermento di uomini affratellati da traversate di anni. Agonie cristiane come latifondi di mare dilatano le ore. L’acqua qui domina il tempo.

Una nuova locanda per sfamarsi e rinsaldare la vostra unione. L’idolo nero è tra voi genio premonitore: sarai tu solo a scegliere la baleniera e quella si chiamerà Pequod.

Mattino di ghiaccio. Tre le navi pronte a partire per un viaggio di almeno tre anni, come tre saranno i ramponieri della storia e ancora tre gli ultimi giorni di caccia. Tre i capitani, tre i primi ufficiali, tre e ancora tre tutto quanto senza che nulla conti di meno. Perché uno e uno solo è il capitano Acab, diviso però da una lunga cicatrice e dalla sua gamba mozzata. Un uomo il cui sangue avvelenato dall’odio dominerà i cuori sul Pequod. I cuori e i corpi.

Ecco la nave davanti a te. Decidi per i suoi artigli, la sua pelle rugosa, palco di un viaggio scritto anni prima sui neri tavoli di una taverna.









27 gennaio 2016

Un anno di navigazione (divagazione)





Nessun bilancio possibile su queste acque fluttuanti. Tutto si fa e si disfa nella cura assassina dei ricordi. Il mare rimescola e poi nasconde.
Se la balena è sempre giovane e rinasce rinvigorita al nuovo cinema americano, io mi vedo invecchiare senza l’aiuto del sole, al peso messianico di un’ombra.
Abbiamo aggiunto colori e forme a una grigia teoria di frammenti, tempo alla causa eterna della caccia alla balena. Le domande dell’inizio restano le stesse…
Potevamo superarci solo così. Scoprendo a noi stessi la prova di una lunga divagazione sul romanzo, la fermezza di un’idea evanescente, la sua sospensione in cerca di apparizioni.


Melville ha navigato il male della natura e degli uomini scrivendo un romanzo interiore e di mondo; scriveva all’amico Howthorne che Moby Dick era un libro malvagio dove il male diventava protagonista: sapeva che il suo alter ego si sarebbe salvato, non la sua tragica vita negli anni a venire. Perché la vita di chi ha scritto la balena fu vita disgraziata, gravi perdite e tormenti.
Il libro naufragò per decenni, bruciarono tutte le copie in un rogo di magazzino, ma a distanza di alcuni decenni ebbe il grande successo che lo consegnò al mito.
Melville sopravvisse alla sua fama di scrittore. Morì quasi sconosciuto, da ex funzionario di dogana, lontano autore di romanzi di mare.
Continueremo a frugare Moby Dick tra i nostri appunti e le bozze. Nella progressiva lentezza di queste pubblicazioni la nostra soggezione verso un’opera per tanti aspetti presaga di rovina e solitudini per il suo autore Herman Melville.